La Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema di diritto alla mensa del personale del comparto sanità.
La Suprema Corte, con l’Ordinanza n.21440 del 31.7.2024 ha confermato il proprio orientamento.
La Corte ha riaffermato principi più volte espressi e interpretato l’istituto della pausa del personale turnista sanitario in relazione:
e ha inoltre fornito spunto per una sintetica disciplina.
Il diritto alla mensa è regolato nel comparto della sanità pubblica dall’art.29 del Contratto collettivo nazionale 20.9.2001 successivamente modificato, nei commi 1 e 4, dall’art. 4 del CCNL del 31 luglio 2009.
La norma prevede in sintesi che:
La Corte di Cassazione ha interpretato la disposizione e chiarito presupposto, modalità di fruizione e finalità del diritto alla mensa.
Lo ha fatto anche in passato con numerose pronunce di orientamento conforme.
Per tutte si possono citare le sentenze della Cassazione Civile n.5547/2021, n.15629/2021, n.32133/2022, n.23255/2023 e n.25622/2023).
Secondo la Corte, il diritto alla mensa è collegato alla fruizione di un intervallo non lavorato e quindi rimanda al diritto alla pausa previsto dall’art.8 D.Lgs 66/2003.
L’art.8 D.Lgs 66/2003 prevede una obbligatoria sosta lavorativa finalizzata a consentire al lavoratore il recupero delle energie psicofisiche e la eventuale consumazione del pasto qualora l’orario di lavoro giornaliero eccede il limite di sei ore.
La previsione del diritto di godere di una pausa pranzo, nelle intenzioni del legislatore è quella di migliorare, con una misura dal carattere assistenziale, le condizioni di vita e lavoro del lavoratore che affronti turni superiori alle sei ore.
La pausa si inserisce nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, per conciliare le esigenze del servizio con quelle del lavoratore.
Va infatti garantita tanto l’efficienza del servizio tanto il benessere fisico necessario perché il dipendente prosegua la propria attività.
Il presupposto per il diritto alla mensa è infatti l’orario di lavoro giornaliero che consente la pausa se è superiore alle sei ore.
La previsione del contratto collettivo di lavoro richiede che il pasto vada consumato in un intervallo al di fuori dell’orario di lavoro.
Questa norma riporta all’art.8 D.Lgs 66/2003 che prevede che il lavoratore con orario di lavoro giornaliero superiore alle sei ore, benefici di “un intervallo per pausa“.
Lo scopo dell’intervallo è il recupero delle energie psicofisiche e solo eventualmente la consumazione di un pasto.
La Cassazione nella sentenza 5547/2021 chiarisce che: “il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro ed il tempo a tal fine impiegato è rilevato con i normali strumenti di controllo dell’orario e non deve essere superiore a 30 minuti”.
Il diritto alla mensa sorge pertanto ogni volta che il dipendente deve osservare un’orario di lavoro superiore alle sei ore. Non rileva il fatto che l’attività lavorativa sia prestata nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto.
Secondo la Cassazione, la fruizione del pasto rientra nell’ambito di un intervallo non lavorato durante la quale il dipendente non è assoggettato ad alcuno obbligo contrattuale e non è quindi a disposizione del datore di lavoro.
Per la consumazione del pasto, i turnisti fruiscono della mensa o di una pausa con modalità sostitutiva.
La pausa si deve collocare fuori dall’orario di lavoro, come intervallo tra due periodi di attività lavorativa e non deve essere superiore a 30 minuti.
Si è espressa in modo conforme anche ARAN (parere CSAN104a e CSAN52), secondo la quale: “la norma contrattuale non pone limitazione alcuna al godimento della pausa mensa/pasto in relazione al turno assegnato che dovrà però essere esercitata nell’intervallo tra due periodi di attività lavorativa”.