La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006, impone agli Stati parti, tra i quali l’Italia:
Nell’ordinamento giuridico italiano il principio di parità di trattamento delle persone con disabilità era già previsto, con riferimento all’occupazione e alle condizioni di lavoro, dal d.lgs n. 216/2003, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2000/78/CE e vietato qualsiasi discriminazione diretta o indiretta nei confronti di persone disabili. Il decreto precisa le diverse forme di discriminazione:
Lo stesso decreto per rendere effettiva la parità di trattamento delle persone disabili in ambito lavorativo, vieta al datore di lavoro di praticare qualsivoglia discriminazione.
Gli impone in particolare di adottare: «accomodamenti ragionevoli per garantire alle persone con disabilita’ la piena eguaglianza con gli altri lavoratori».
La legge quindi chiede al datore di lavoro di compiere interventi idonei a eliminare la situazione di svantaggio dovuta alla condizione di disabilità del proprio dipendente.
Sul punto, la Corte di Cassazione, con l’importante sentenza n. 6497/2021, ha chiarito che per accomodamenti ragionevoli debbano intendersi adeguamenti quali la sistemazione di locali, l’adozione di attrezzature, ritmi di lavoro e ripartizioni di compiti adeguati alle esigenze del lavoratore affetto da disabilità. Spetta al datore di lavoro anche fornire mezzi di formazione o di inquadramento. Per usare le parole della Corte, egli deve adottare: «adeguamenti organizzativi che si caratterizzino per la loro appropriatezza, ovvero per la loro idoneità a consentire alla persona svantaggiata di svolgere l’attività lavorativa».
La Corte ha quindi ritenuto illegittimo il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica di un lavoratore al quale il datore di lavoro non aveva fornito questi adeguamenti. Nel caso di specie, il il datore di lavoro non ha provato di aver svolto gli atti e le operazioni adatte a trovare l’accomodamento ragionevole richiesto dalla legge.
Il datore di lavoro, per la Cassazione non ha «compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata che scongiurasse il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto».
La legge impone l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli al datore di lavoro, non solo per prevenire il licenziamento del dipendente disabile, ma anche per realizzare la parità di trattamento in tutti gli ambiti previsti dal d.lgs n.261/2003.
Il d.lgs n. 216/2003 persegue la condizione di parità con gli altri lavoratori in diversi ambiti, quali:
La Suprema Corte nella stessa sentenza ha tuttavia chiarito che l’accomodamento deve essere ragionevole. La ragionevolezza sta nel trovare una soluzione organizzativa praticabile che imponga all’imprenditore, oltre che al personale eventualmente coinvolto, un sacrificio tollerabilie e che possa essere considerato accettabile. La valutazione finale spetta al giudice che la valuterà caso per caso.
Il 30 giugno 2024 è entrato in vigore il d.lgs n. 62/2024, che ha introdotto interessanti novità per assicurare alle persone disabili la rimozione degli ostacoli al pieno esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, delle libertà e dei diritti civili e sociali, in tutti i “contesti di vita, liberamente scelti”.
Il decreto dà attuazione ai principi e alle finalità dettati dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
In particolare, l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli è stato esteso in qualunque contesto di vita, quindi non è più solo riferito all’occupazione e al lavoro. L’obbligo vale nei confronti della pubblica amministrazione, dei concessionari di pubblici servizi e anche dei soggetti privati, in ogni caso in cui: «l’applicazione delle disposizioni di legge non garantisca alle persone con disabilità il godimento e l’effettivo e tempestivo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali».
Al riguardo, il d.lgs n. 62/2024 ha introdotto la possibilità per la persona disabile di proporre istanza scritta ai soggetti indicati nella legge, quindi anche ai privati perché adottino un accomodamento ragionevole. Questa facoltà si estende all’esercente la responsabilità genitoriale in caso di minore o il tutore, ovvero l’amministratore di sostegno, se dotato dei poteri.
La persona con disabilità e gli altri soggetti richiedenti, che possono anche formulare una proposta concreta con riferimento all’accomodamento da adottare, partecipano al procedimento finalizzato all’individuazione dell’accomodamento ragionevole.
Nel caso di rifiuto da parte della pubblica amministrazione, del concessionario di pubblici servizi o del soggetto privato all’adozione dell’accomodamento ragionevole, la persona disabile e le associazioni legittimate ad agire ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 67 del 2006, possono chiedere all’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità di verificare se il rifiuto di accomodamento ragionevole rappresenti discriminazione.
Resta ferma in ogni caso la possibilità di agire in giudizio.
L’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, istituita di recente con d.lgs 5 febbraio 2024 n. 20, sarà attiva solo a partire dal 1° gennaio 2025 e rappresenterà, nelle intenzioni del legislatore, il soggetto deputato a promuovere i diritti delle persone con disabilità in Italia e a ricevere segnalazioni sull’esistenza di fenomeni discriminatori nei loro confronti.
Contributo di Emanuele Pizzato