Il «tempo tuta», impiegato dal lavoratore prima e dopo lo svolgimento della sua mansione e funzionale al suo svolgiemento è da considerare come orario di lavoro
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Il concetto di orario di lavoro
L’art. 2 del D.Lgs n. 66/2003 definisce orario di lavoro: «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue funzioni».
Il decreto recepisce la normativa UE (Direttive Comunitarie 93/104/CE e 2000/34/CE), che stabilisce:
- i requisiti dell’organizzazione dell’orario di lavoro;
- la disciplina delle pause e del riposo;
- la durata della settimana lavorativa.
Il concetto di orario di lavoro si concretizza nel fatto che il lavoratore mette le proprie energie a disposizione del datore di lavoro per quel lasso di tempo.
La soggezione al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro rappresenta l’elemento qualificante della natura subordinata del rapporto di lavoro.
Nell’orario di lavoro rientrano quindi tutte le operazioni complementari e strumentali all’attività lavorativa in senso stretto, svolte sotto le direttive e il controllo del datore di lavoro.
La giurisprudenza comunitaria e nazionale in materia
La giurisprudenza comunitaria che si è occupata della nozione di orario di lavoro ha chiarito che può essere considerato periodo di riposo solo quello durante il quale i lavoratori dispongono della “possibilità (…) di gestire il loro tempo in modo libero”.
Sul solco di tale orientamento, la Cassazione ha costantemente affermato che le operazioni anteriori e posteriori alla prestazione lavorativa devono essere retribuite come orario di lavoro se sono necessarie e obbligatorie al suo svolgimento.
Secondo gli insegnamenti della Corte rientrano quindi nell’orario di lavoro retribuito, ad esempio:
il tempo di percorrenza impiegato dai lavoratori per compiere il tragitto dall’ingresso aziendale alla postazione di lavoro e viceversa;
il tempo necessario per effettuare le operazioni di log in e log out sui personal computer;
tempo di vestizione e svestizione dagli specifici indumenti da lavoro, il cosiddetto tempo tuta.
Il principio applicato dalla Corte di Cassazione e condiviso anche dai giudici di merito, si basa sulla considerazione che queste attività sono soggette al potere direttivo esercitato dal datore di lavoro nell’ambito della organizzazione delle prestazioni dei dipendenti e funzionali al loro corretto svolgimento.
Il «tempo tuta» va retribuito
Il lavoratore a cui viene richiesto di svolgere determinate mansioni indossando una divisa o una tuta o altro indumento specifico, o quello che deve utilizzare una certa postazione telematica che preveda specifiche operazioni di accesso, così come ogni altra attività accessoria e necessaria alla prestazione lavorativa in senso stretto, va retribuito, dovendosi considerare tali operazioni come tempo effettivo di lavoro.